mercoledì 3 febbraio 2010

Il suicida è un idiota.

Un giorno un professore di filosofia, intento a fare una delle solite lezioni sul concetto di infinito e le sue varianti, che da anni e anni, quasi trenta, lo accompagnano durante le mattinate all'università, riceve una strana domanda da un alunno, che immediatamente lo colpisce. Il ragazzo non chiedeva altro che: "Per affermare l'infinità di noi stessi, vale la pena suicidarsi?".
Un sussulto, poi un sorriso, poi partì, andò indietro con la mente agli anni in cui aveva anch'egli ventuno anni, poi con la mente a quelli in cui i ventuno anni li sognava. Sempre questa domanda, sempre la solita, costante, immancabile domanda sul perchè un uomo desideri il suicidio. Sempre, a ventuno anni. Sempre a pensare a delle cazzate piuttosto che vivere la vita.
Rispose. Intervenne un altro ragazzo. Rispose ancora. Ma sul più bello se ne alzò un altro, poi un altro, e iniziarono a parlare assieme, l'uno contro l'altro. Il professore si sedette. Non potè far altro che ascoltare:

A: "Io credo che il suicida cerchi vita, a prescindere da che questa sia una vita migliore. Credo che il suicida si ammazzi perchè (sostanzialmente si, è un folle. Nessuno si toglierebbe la vita per vivere, sembra un controsenso ma non è così): puoi vivere dieci anni e morire ogni giorno, e non avere il coraggio di farla finita. Puoi vivere ed essere infelice. Puoi vivere e credere di essere felice, ma alla fine ti accorgi che quello che hai fatto non era altro che un simulare la vita. Un emulare la vita degli altri affinchè la tua vita possa esser considerata migliore. Ecco, il suicida non emula. Il suicida vive. Vive la propra morte. Magari nell'ultimo istante prima di schiantarsi al suolo si pente, ma credo che il più delle volte possa solo fracassarsi la testa con un enorme sorriso sul volto, pensando, in quell'attimo, in quel respiro prima di morire, che proprio quel respiro sia "l'originale", quello che non ha bisogno di emulare. Quello senza preoccupazioni, quello pieno di vita. La vita che cercano e che trovano lì, in quell'ultimo alito prima di abbandonarsi ad un eterno sorriso. T'immagini a come dev'essere VITA quell'ultimo sospiro privo di paura? E dico privo di paura perchè, cazzo, una volta che ti sei buttato non torni indietro, e in un secondo pensi mille cose, ti rassegni, e muori. Abbandonandoti alla vita."

B: "Ha detto una persona abbastanza saggia che il suicida è un uomo o estremamente saggio, o particolarmente stupido, e che le probabilità vogliono che sia quasi sicuramente la seconda. Beh, premesso questo, ipotizzo per assurdo di essere d'accordo con te, di credere, quindi, che un suicida nel momento in cui si uccide Viva, e quello sia l'istante di Vita ricercato per tutta l'esistenza. E allora perchè viverlo? Per il gusto di aver vissuto quell'istante? E cosa avrà significato quell'istante per lui? Forse la felicità? E cosa avrà significato quella felicità per lui? Il nulla, perchè non avrà di cosa farsene. Se la vita terrena è l'unica ad esistere, quella felicità varrà per lui esattamente quanto una storia di infelicità, di fallimenti, o quanto una vita di successi e soddisfazioni, o qualsiasi altro istante vissuto, non vi sarà alcuna differenza. E se invece la vita terrena non fosse l'unica ad esistere, ma ce ne fosse un'altra, successiva, indipendentemente da come sia strutturata (vedi Paradiso, Eden e vari), cosa avrà significato quella felicità terrena per lui, se la vita di cui farà parte da quell'istante in poi sarà fatta di altre regole, di altri sentimenti, di altra natura? La felicità sulla terra non corrisponderà a nessuna delle possibili vite ultraterrene, tranne una. Cioè, tra gli infiniti mondi successivi all'esistenza possibili, quello in cui la felicità terrena corrisponda a quella ultraterrena è uno solo. E' almeno difficile che esista proprio quello, se uno ne esiste. E allora cosa avrà significato per lui quell'istante? Cosa avrà ottenuto? Avrà sprecato la sua chance qui sulla Terra e spero per lui che ne avrà una seconda dopo la morte. Se dovesse esistere il Paradiso cristiano, ad esempio, sarà cornuto e mazziato."

A: "Non la mettiamo sul piano di un'ipotetica vita ultraterrena, poichè non arriveremo mai ad una conclusione, visto che non siamo morti e non possiamo saperlo. Si muore, e il suicida trova serenità in quell'ultimo alito di vita. La felicità non è un contentino ad un azione "eroica", non è una consolazione, non è uno strumento da poter riutilizzare in seguito. Sei felice in quell'istante, e solo in quello, perchè la felicità è fatta di istanti, nessuno può dirsi felice davvero. C'è l'istante e lo vive. Basta. Quello che viene dopo non conta. Probabilmente sarà altra infelicità, o felicità, ma questo è il bello della vita, se non vivi ciò che vuoi vivere non riuscirai mai a sapere cosa ti aspetta. E secondo me il suicida vuole vivere quell'esperienza, vuole essere felice in quell'ultimo istante e basta. Ciò che viene dopo non è niente perchè non è stato ancora vissuto. Non puoi metterla sul dopo, non esiste un dopo."

B: "Direi che non l'ho esattamente messa sul piano ultraterreno, era solo la seconda parte di un "se..e se..", e non è inutile, a meno che dopo la vita non ne esista un'altra strutturata esattamente come questa. In qualsiasi altro caso, qualsiasi cosa ottenuta qui perderebbe di senso. Poi beh, varrebbe lo stesso per il tuo discorso. Mi spiego: la tua è tutta un'ipotesi, non puoi sapere se un suicida prova realmente felicità o serenità, piuttosto che paura o autocommiserazione, nel momento in cui si lancia (ma cosa pensi che proverebbe nell'istante in cui si sparasse?). E' probabile che un suicida creda di ottenere un miglioramento, un qualcosa che lo appaghi nel momento in cui tutto sta per finire e che viene vissuto con la consapevolezza che sarà l'ultimo, ma è possibile che non provi nulla di tutto ciò.
E' interessante ciò che sostieni quando dici che il suicida vuole vivere quell'istante perchè vuole provare ciò che "dà" e che ciò che ipoteticamente può esserci dopo non conta, perchè non esiste. Però, se è questo quello che cerchi, allora perchè sprecare così tanto tempo per provare
qualcosa di irrimediabile proprio in "questo momento"? Tanto vale attendere, rischiare con altre scelte, provare cosa possono portare quelle e poi, al termine, provare con il suicidio.
Se ciò che si cerca è un istante di felicità, per la pura volontà di provarla, senza nessun significato da dare a questa felicità se non il fatto di essere stata raggiunta, beh, la si può ricercare in infiniti modi e il suicido può sembrare forse quello più sicuro, visto dal punto di vista poetico che hai mostrato tu prima, ma in realtà non è altro che un rischio, un 50% di possibilità di vincere e un 50% di perdere. Vale la pena giocarsi tutto su questo gesto per avere le stesse chances di vincere che con un qualsiasi altro? E poi, se ciò che ti da la felicità è la spensieratezza dell'ultimo istante, o se almeno è questa quello che tu suicida credi che ti dia la felicità, perchè non aspettare la morte naturale? Quell'istante potrà essere felice allo stesso modo.
Ma, fondamentalmente, il punto in cui non ci troviamo d'accordo è che la felicità sia appagante per sè stessa. Io credo che, invece, qualsiasi cosa debba avere un senso. E un istante di felicità deve esistere in me in quanto io potrò farmene qualcosa."

Ed in effetti è un argomento difficile capire chi tra il suicida e il lottatore sia un eroe e chi un cretino. Sta di fatto che è semplice, fin troppo, giudicare il primo come vigliacco e il secondo come coraggioso. Un post serio questo, forse troppo, più del solito, ma che rende onore e merito al fatto che talvolta, nei discorsi fatti tra amici, "sintomi di intelligenza" compaiano e rendano concreti i migliaia di battiti di tastiera fatti se non altro perchè ne vale la pena.

Si ringrazia Anna, perchè senza di lei non ci sarebbe stato questo post.
Polkan

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