giovedì 17 marzo 2011

A morte chi disunì l'Italia.

"Oh andiamo?"
"Andiamo."
"Ok."

Nel treno zitti, silenzio, non un silenzio di gelo, di terrore, di paura, ma un gelo di attesa, di carica, come quando il cellulare termina la propria energia e attende inerme ed inutilizzato sulla scrivania attaccato al caricabatterie, che forse è l'esempio più quotidiano e per questo il più brutto e dal momento che gli esempi brutti non 'colpiscono', eccone un altro: come un animale in letargo, prima che arrivi il momento propizio ed esploda in tutta la sua vitalità. Il silenzio carica, perchè la carica è energia e l'energia parte dalla mente e la mente si nutre di concentrazione e la concentrazione si alimenta col silenzio. E per fare ciò che ci eravamo proposti di fare, serviva carica, questo è certo. Arrivammo a destinazione dopo due ore e mezza di viaggio, sapendo che il percorso non sarebbe comunque finito lì. Infatti ci aspettavano ancora parecchi chilometri di autobus prima di arrivare. Arrivati lì, più carichi per l'esaltazione e la rabbia che lentamente continuava a sfogare come piccole gocce di combustibile che a poco a poco si avviano alla combustione senza lasciare mai l'auto a secco, l'apocalisse: centinaia, migliaia di uomini al seguito di una bara di legno scuro, senza particolari ornamenti, come a testimoniare il progressivo abbandono che avrebbe ricevuto da lì a poco colui che vi era rinchiuso dentro, ahilui per l'eternità: dapprima la sobrietà quasi disinteressata della sua ultima 'casa', poi il silenzio freddo degli uomini che la seguivano, come fedeli inebetiti e incerti alla morte del proprio messia, poi il lento abbandono totale, rallentato solo dal lavoro degli ultimi discepoli. Dev'essere successo anche al più grande Messia di tutti i tempi: chi avrebbe poggiato la propria mano sul fuoco in nome di un uomo appena spirato incollato ad una croce di legno che non avrebbe ucciso il più semplice dei fantasmi e che invece è riuscita nell'intento proprio con il Figlio di Dio? Ai lati della mandria, come a formare due muri, con il duplice intento di impedire la fuga a quanti di loro, alla vista di quella cassa spoglia e soprattutto all'immagine di quel corpo insulso e inerme all'interno, avrebbero voluto rinnegare ogni propria convinzione, delusi e rinnegati loro stessi da quella tragica fine che non sembrava possibile potesse avvenire anche con lui, aveva promesso non sarebbe successo. Il secondo motivo era lo stesso nostro, sembrava quasi automatico che ci saremmo uniti a loro in questi interminabili attimi di liberazione: festeggiare. Il nostro sorriso silenzioso, di un silenzio che continuava ad autonutrirsi da ormai ore, da quella telefonata di ieri sera, sul tardi, probabilmente erano le dieci e mezza o le undici, spiccava da ambedue i lati, tra la tristezza incredula dei seguaci, con i loro ovinointelletti, e la festa vendicativa ai bordi. Tra i fuochi d'artificio, i petardi, i cori e l'udienza isterica e immobile delle persone al centro di quella piazza, la nostra andatura lenta, fiera e sorridente spiccava come un raggio di sole che si fa spazio tra le rocce dello Utah (vedetevi: 127 ore) come se avessimo qualcosa da nascondere, come se si rendessero conto che il nostro non era esattamente l'atteggiamento della festa, della liberazione della rabbia alla serenità o della rassegnazione, ma della nascita, la nascita che avremmo avuto sicuramente noi, di lì in poi. Ci avvicinammo alla bara come tutti coloro che avrebbero desiderato concedersi un ultimo attimo in sua presenza, pur non essendo mai stati in sua presenza prima di quel momento, che, se non altro, era stata l'occasione per avvicinarglisi. Arrivato il nostro turno, avanzammo ancora di un passo, guardammo per un attimo la guardia giurata che presenziava ai saluti e che garantiva il tranquillo svolgimento della cerimonia e poi alzammo una mano all'altezza quasi dell'ombellico, e, continuando a guardare negli occhi la guardia giurata, la riabbassammo entrambi, smettendo quasi contemporaneamente di rivolgere il nostro sguardo a quell'uomo interdetto, come altri che avevano già notato la scena. Fissando la bara scura, poggiammo entrambi la mano sul pene, prendendo con questo anche tutto il resto di quello che c'è lì sotto. Stringendo forte e scrollando con violenza, con la nostra concentrazione e il nostro desiderio di fare ciò che stavamo facendo che non permettevano che l'espressione dei nostri volti mutasse, alzammo entrambi la mano che avevamo usato e ci girammo, come tutti i fedeli, per andarcene. D'istinto una guardia, prima intenta a controllare che nessuno si avventasse sul resto della folla, ci si avvicinò per fermarci, ma tutte le persone ai bordi del corteo, che già avevano iniziato a ridere, avendo compreso il gesto che avevamo fatto, inizò ad intonare il coro "fate il vostro lavoro, ormai è morto", così la guardia si fermò all'istante, spaventata dalla possibile reazione di tutti quegli uomini. Andammo via, assieme allo scorrere della fila. Senza ancora scambiarci neppure una parola, prendemmo il pullman, poi il treno e arrivammo a casa.

"Oh"
"Ahahahahah"

Emre: Se muore qualcuno di cui non me ne fotte, non dico nulla, non mi dispiaccio. Nulla. Se muoiono lui o Berlusconi festeggio.
Polkan: Chiaro. Abbè ma Berlusconi penso senza fiatare: si va tutti a Roma al funerale e si fa il gesto di ciucciarci le palle e ce ne si torna a casa.
Emre: Ua o facimm?
Polkan: Chiaro. Senza fiatare però, senza parlarne manco. Dev'essere una cosa stupenda. Comunque 'abbè ci vuole tempo.
Emre: Non è detto. Comunque si ja, in silenzio, anche tra di noi. Muore, ti chiamo "Oh andiamo?", "Andiamo", "Ok". Nel treno zitti, ascoltiamo la musica, non parliamo nemmeno dell'Inter, di niente. Musica. Andiamo là, facciamo, altro treno, sempre musica, arrivo a casa, ti chiamo: "Oh", "Ahahahah".
Polkan: Ua che cosa fantastica. Perchè poi capì quanta gente sarà là: tutti fedeli di Berlusconi, poi chissà quanti altri che festeggiano, però che festeggiano con i fuochi d'artificio, i cori... noi in silenzio. I carabinieri impazziscono, ma ormai che ci devono fa, impazziscono per abitudine. Però glielo diciamo semmai che è morto e possono fare quello che avrebbero sempre fatto. Poi la gente ride sicuro.
Emre: No, penso che s'ndigni perchè è tutta gente che lo ama. Però al massimo ci caccia fuori. Il gesto che ho provato io comunque è prendere tutto il wallarozzo con tutta la mano, stringere forte e scrollare violentemente.
Polkan: E' perfetto. Fatto con nonchalance. E' una delle cose più belle che si possano pensare.
Emre: Ua dopo quando vado a letto mi avvicino a papà e provo.

Polkan

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